di Fabio Migneco
Indegnamente buttato nelle sale italiane per una settimana in poche sale e quasi tutte con il solo spettacolo notturno (la cosiddetta uscita tecnica, tanto per far figurare che c’è stato un passaggio in sala e poterlo vendere meglio al mercato home-video – speriamo almeno che esca in edizioni conformi a quelle inglesi e americane, ricchissime di extra) ecco la terza parte della cosiddetta trilogia del cornetto (inteso come popolare gelato confezionato) firmata da Edgar Wright alla regia, che sceneggia il tutto, come sempre, col suo protagonista Simon Pegg. Come per i due film precedenti (se non avete mai visto Shaun of the Dead – il titolo italiano non verrà citato in questa sede, se proprio volete farvi del male c’è sempre Google – e Hot Fuzz, è il momento di farvi un regalo e recuperarli) squadra che vince non si cambia e così riecco Pegg e Nick Frost insieme ad altri ottimi attori britannici, come Eddie Marsan, Paddy Considine e Martin Freeman, alle prese con la folle avventura di un gruppo di amici che si riunisce dopo anni per finire quello che non riuscirono in gioventù: una nottata di epiche scorribande. 12 pinte a testa in altrettanti diversi pub, fino ad arrivare a quello dal nome più evocativo, La fine del mondo appunto. Solo che per loro sfortuna la fine del mondo sta per arrivare sul serio.
Dopo aver attaccato, omaggiato, reinterpretato prima l’horror e lo zombie-movie poi l’action made in Usa fuso col mistery very british, Wright passa alla fantascienza, con un occhio a quella classica (dagli Ultracorpi in poi) e l’altro a quella più moderna, specie per quanto riguarda la messa in scena. Come sempre la miscela è scoppiettante, le trovate e le battute si susseguono a ritmi vertiginosi che la maggior parte dei registi contemporanei si sognano, la regia è sfrenata e superbamente divertente come quella del primo Raimi se non di più, gli attori tutti nella parte (ma Pegg trova nuove corde al suo personaggio, Frost è sorprendente tanto nella prima quanto nella seconda parte in cui si scatena, Marsan di una comicità buffissima e irresistibile) e l’avventura si segue dal primo all’ultimo minuto col sorriso compiaciuto.
Il cinema di Wright è chiaramente postmoderno all’ultimo stadio, rifrulla di tutto e di più al suo interno, ma con una personalità e uno stile che sono suoi in ogni fotogramma. Tra i nuovi registi-autori emersi negli ultimi anni è sicuramente quello con la filmografia più felice finora (anche Scott Pilgrim era da non perdere) e colpisce soprattutto la cura che mette in fase di scrittura, disseminando le sue storie di indizi, elementi in comune, citazioni, omaggi, riletture, variazioni su temi con i quali è e siamo cresciuti. Ora che ha chiuso alla grande questa prima fase del suo cinema siamo curiosissimi di vedere che direzione intraprenderà con la prossima.
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