di Fabio Migneco
Se ancora non l’avete fatto correte in sala a vedere uno dei migliori film degli ultimi anni e senza dubbio il migliore di questo. Cuaròn, assente dal grande schermo da ben sette anni, ovvero da I Figli degli Uomini, ha compiuto il miracolo artistico e produttivo di realizzare qualcosa che non si era mai visto, soprattutto non in questi termini e immergere totalmente lo spettatore nella sua visione. Gravity è un film che ti lascia letteralmente a bocca aperta, per il perfetto connubio tra istanze spettacolari e autoriali, per il suo raggiungere vette mai toccate dal cinema contemporaneo, per la rappresentazione dello spazio più profondo come mai ci era stato mostrato finora, e non con una storia fantascientifica, ma con una plausibile di una missione spaziale. La storia si racconta in due o tre righe: durante detta missione la dottoressa Stone e il veterano Kowalsky, in seguito a una pioggia di meteoriti e detriti che distrugge il loro shuttle rimangono alla deriva nello spazio e devono cercare di ritornare sulla Terra. Tutto qui. Ma Cuaròn è regista e narratore abilissimo e trasforma l’esile trama in una festa per gli occhi e la mente, senza mai eccedere ma anzi mantenendo un’essenzialità, anche nella durata, che rende il film ancora più incisivo. La regia è strepitosa, piena di virtuosismi, tra campi lunghi o lunghissimi alternati a primi piani d’impatto, lunghi piani sequenza, un montaggio di grande classe. Il tutto senza sottolinearlo mai, talmente grande è la potenza delle immagini e della performance di un’ottima Sandra Bullock, del ritmo tenuto. Lo spettatore segue la storia e non bada ai virtuosismi perché Cuaròn è bravissimo nel realizzarli ma anche nel non ostentare. Persino il 3D è sensato e incisivo come rarissime volte è accaduto da quando è tornato di prepotenza nelle sale, aggiornato ai tempi. Tanto che Re Mida Cameron lo ha definito “il miglior space movie di tutti i tempi”. Pochi i dialoghi e tutti sensati, molti i silenzi, ancor più sensati, due attori in scena per tutto il film (c’è anche qualcun altro ma per poco), con un Clooney al servizio del personaggio minore, spaccone con l’anima, un po’ vanesio ma fondamentalmente irresistibile, e una Bullock davvero perfetta nel rendere il suo personaggio tormentato, pieno di nervosismi e inquietudini, alle prese con uno degli ambienti e dei contesti più estremi che si possano immaginare.
Una scommessa vinta quella di Cuaròn, che ha sceneggiato il film – presentato all’ultimo Festival di Venezia – insieme al figlio, per una pietra miliare con cui bisognerà per forza di cose fare i conti da oggi in poi e che segna un nuovo eccellente termine di paragone, che difficilmente sarà eguagliato presto (ma da spettatori non possiamo che augurarcelo). Fosse uscito una ventina di anni fa adesso sarebbe un capolavoro conclamato, studiato nelle scuole di cinema e tutto il resto. In questi tempi alla deriva, accelerati e usa e getta, non sappiamo come reggerà il passare del tempo, se verrà liquidato come l’ennesimo film tutto effetti speciali (niente di più sbagliato) e avanti il prossimo. Ma gli auguriamo ogni bene.
Leave a Reply
Your email address will not be published. Required fields are marked (required)