L’ora magica

 

di Marco Maresca

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( immagine da https://it.123rf.com/photo_7937052_barca-a-remi-coppia-al-tramonto.html )Remava il vecchio, con la stessa fatica nel fare ogni cosa a cui si era ormai abituato. Ricordando, come accaduto poche ore prima, quel giorno lontano in cui lei, nello stesso punto in avvicinamento, lo aveva aiutato a salire sulla barca che ora li trasportava entrambi. Il giovane, che stava tentando di traversare il lago da parte a parte nel tratto di minore distanza, si era ritrovato vittima di uno spasmo. E il destino aveva voluto che lei passasse proprio lì, in quello stesso punto, in quello stesso momento.

Remava il vecchio, ricordando, e guardandola con lo sguardo di sempre, candida unione di quotidianità e avventura, vessillo di quanti hanno avuto l’omaggio di un vero amore, riflesso di coloro che hanno inspiegabilmente potuto unire in una presenza tutto l’infinito che viene dal Mistero e tutto il finito che viene dal Mondo. Immagine di una visione pulita dell’altro, depurata da qualsiasi ingombrante ricerca di sé. Se solo si fosse potuto vedere, avrebbe certamente sorriso per quell’esalazione di verità. Occhi fortunati, quelli della donna accanto al vecchio, perché sempre guardati con lo sguardo che ora il vecchio le stava porgendo. Occhi che hanno ricambiato in modo naturale quello sguardo. Occhi maturi, che hanno conosciuto la vita e la morte scovandone il significato nella presenza immutata di altri occhi, e per mezzo di questi senza restarne sopraffatti.

Remava il vecchio, mentre il lago impallidiva allo scomparire del sole. Mentre il vento si faceva da parte. Mentre svanivano tutti i rumori. Fluendo nell’aria ferma e nell’acqua apparentemente immobile. Con il mondo reso più vero dalla nuova luce. Remava, proprio quando il giorno frena la sua corsa prima di cedere alla notte, in quel momento che loro, sin dal primo incontro, avevano chiamato ora magica. A quell’ora, infatti, il giovane era stato tratto in salvo e a quella stessa ora, adagiandosi stanco sul fondo della barca, le aveva sussurrato: credevo fosse arrivata la mia ora… ma evidentemente si tratta della mia ora magica. Così, guardandola per la prima volta con lo sguardo che ora le stava tendendo, aveva capito che gli era piovuta addosso una nuova vita, lì e in quel momento, perfettamente combaciante con la sua, e che avrebbe dedicato ogni giorno a venire ad accudirla. E lei, chinandosi sul suo corpo stanco, gli aveva regalato la più bella carezza che un uomo possa desiderare.

Lei era seduta di fronte a lui, gli occhi semichiusi, la bocca semichiusa. Ora percepiva la brezza del movimento, ora un caldo intenso e soffocante, ora ancora brezza. Un bilico continuo e fastidiosissimo. Insensato, in quel momento di calma totale; al punto da provocare di tanto in tanto sulla sua bocca semichiusa un liberatorio sorriso di scherno. Le mani le tremavano, ma non per il fluttuare di percezioni termiche. Con regolarità cercava gli occhi del vecchio, ma non per essere sicura che fossero ancora lì.

Lei era seduta di fronte a lui, eppure non era quello il posto dove sarebbe voluta stare. Per sessantadue anni aveva scelto di essere al fianco del giovane, poi dell’uomo, poi del vecchio. Persino quando remavano erano uno accanto all’altro, un remo ciascuno da governare, l’unico modo che conoscevano per andare avanti. E adesso, per colpa non sua ma dei dolori che si erano impadroniti del suo corpo, era costretta a starsene adagiata a poppa. Ma Dio solo sa quanto avrebbe voluto che in quel viaggio avessero dato entrambi le spalle al dritto di prora e al punto in avvicinamento, le mani sui remi e il vento alle spalle.

~~

Ecco, tesoro, stiamo per arrivare.

Sì…

E già è cominciata l’ora magica.

[…]

Vuoi un po’ d’acqua?

Sì… grazie…

[…]

Aspetta, che ti sistemo i capelli. Il vento, prima, li ha un po’ arruffati.

[…]

Guarda, tesoro, guarda quella casa sulla sponda, a destra. Sì, proprio quella lì. Che bella che è… Ma c’è sempre stata? Sai che non me la ricordo?

Sì… mi pare… di averla… già…

Sei comoda? Vuoi che ti sistemi le gambe?

[…]

Ecco, ci siamo quasi. Sei felice?

Forse… tu… non…

Ne abbiamo già parlato a lungo, tesoro. Io devo. E lo voglio con tutto me stesso. Guardami. Sono l’uomo più felice che il mondo abbia mai avuto tra i suoi abitanti. Sono con te. Come potrei essere più felice? O triste. Guardami. Tu mi hai dato tutto. Dammi anche questo momento.

Sì… sono… felice.

Dammi un bacio.

Ti… amo.

[…]

[…]

[…]

Ecco, siamo arrivati.

~~~

Il vecchio aveva smesso di remare. Seduto nel banco centrale guardava incuriosito i remi, ormai soli negli scalmi consumati, scivolare lentamente verso l’acqua. Qualcuno, da lontano, avrebbe potuto definirla una scena immota. Comunque perfetta, nel suo genere.

Poi il vecchio si era alzato e l’aveva raggiunta. Dal sacco posto ai suoi piedi aveva tirato fuori una lunga catena e aveva iniziato ad avvolgerla intorno al timone. Due giri, poi un grosso chiodo per tenere fermo l’agglomerato, poi ancora un giro. Quindi aveva cinto delicatamente le loro vite, e le aveva serrate con un altro chiodo. Infine aveva riportato la cima al timone e bloccato il tutto con un lucchetto. E con un sorriso, aveva tolto il tappo dal fondo della barca.

Sono grato alla tua malattia. Se non ci fosse stata, uno di noi avrebbe lasciato l’altro da solo.

Ti…

Sì, anch’io.

[……]

L’orizzonte del lago saliva lentamente. Saliva, mentre gli occhi dei due vecchi continuavano a gettarsi gli uni negli altri; senza trasmettere indugio, né pietà o rimpianto. Lentamente. Finché l’orizzonte non fu all’altezza del loro capo. E il cielo, finalmente, sopra di loro.

 

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