di Francesco Bordi
Serve una scuola per essere disoccupati? Questa la domanda che i più si sono posti nel leggere il titolo del romanzo di Joachim Zelter. Provocatoria dunque l’intestazione, provocatorio lo stile e certamente provocatorio il romanzo.
“La scuola dei disoccupati” è un’impressionante narrazione di come le, relativamente, recenti problematiche inerenti alla diffusa mancanza di lavoro possano portare ad esiti devastanti nella società senza però rinunciare alla perenne finestra sul marketing e sul controllo del sistema che la piccola classe dominante continua a mantenere aperta, incurante delle condizioni della popolazione. Speculare, controllare, speculare; sempre e comunque.
Questa sorta di reportage sociale che l’autore ambienta nell’anno 2016 assume ancora più il valore della provocazione perché viene immaginato in territorio tedesco, in una Germania che non risulta più essere la locomotiva dell’Europa ma che è gravata da una disoccupazione che affligge, più o meno, dieci milioni di connazionali.
In questo oscuro panorama i Job Center dell’Agenzia federale per il lavoro si affidano ad alcune scuole costituite per “formare i disoccupati”. La struttura presa in esame nel romanzo è SPHERICON, un ente scolastico che insegna ai propri “trainees” a migliorare i loro curricula e a raffinare la loro ricerca d’impiego. Già di per sé la concezione che possano sussistere dei trimestri formativi volti alla formazione dei disoccupati è surreale, ma l’autore tedesco non si accontenta di una buona idea sufficientemente originale, ma nello scritto introduce anche una metodologia d’insegnamento tale da consegnare al lettore un amaro sorriso che non lo abbandonerà fino alla conclusione del volumetto. La scuola in cui avvengono le lezioni è concepita come una struttura, comprensiva di aree vitto ed alloggio, quasi para-militare animata da intenti più che discutibili: regole rigidissime su quando andare a dormire quando svegliarsi, quando mangiare e come vestirsi, indottrinamenti pseudo-filosofici volti a forgiare allievi che dovranno mettere al primo posto la ricerca del lavoro, quindi un impegno che venga prima degli affetti e che dovrà essere raggiunto ad ogni costo e a qualunque mezzo, gestione fraudolenta delle informazioni presenti nei curricula che non dovranno essere veritiere, ma verisimili. Non importa se le esperienze inserite nei forms siano state realmente vissute, la cosa importante è che siano credibili e che siano omogenee con il resto dei dati inseriti. Ove le situazioni lo permettano, persino un luogo di nascita può essere mutato se questo può contribuire a rendere maggiormente accattivante la propria informativa professionale.
Sono pochissime le distrazioni ammesse all’interno di SPHERICON. Viene incoraggiata la lettura del romanzo “Job Quest”: una storia sulla continua ricerca di lavoro da parte dei protagonisti che riescono nel loro “folle” intento solamente grazie a forza di volontà ed altissime capacità strategiche nonché all’abilità di stringere e violare accordi senza esitazioni. È possibile guardare anche la serie televisiva omonima del romanzo che vine trasmessa ogni giorno cambiando protagonista ad ogni puntata. C’è anche una versione video-game di Job Quest creata per fornire una valvola di sfogo ai propri allievi, o meglio ai propri trainees (esiste anche un sequel più avanzato del viedeo-gioco: Job Attack!). Per non dimenticare l’aspetto musicale dello “svago” offerto nella scuola, gli ospiti di SPHERICON possono apprezzare le note della colonna sonora relativa alla citata serie televisiva grazie alla filodiffusione che copre tutta la zona scolastica.
La “didattica” delle materie è affidata a degli istruttori chiamati a dirigere i maxi-gruppi di iscritti. Ogni trainer è a capo di una comunità di allievi e va considerato come un riferimento con più sfaccettature: insegnante, mentore, accompagnatore, consulente, uomo di fiducia. Peccato che questi “teamchief” utilizzino il tempo delle lezioni per umiliare gli allievi (che in media vanno dai 25 ai 45 anni) colpevoli di non allinearsi correttamente al pensiero di SPHERICON. Non c’è la ricerca di un lavoro in linea con la propria formazione, qualunque occupazione va perseguita e se non si posseggono i requisiti minimi per ottenere un impiego non bisogna desistere, occorre inventarseli purché siano comunicati in maniera credibile. La conquista della meta deve avvenire in qualunque maniera, persino cercando informazioni nei necrologi sui quotidiani e presentandosi quindi nelle aziende che hanno perso un dipendente a seguito di decesso.
La competizione fra gli allievi è incoraggiata a livello organizzativo prima ancora che concettuale. I trainees che risultano migliori nell’ambito delle lezioni e delle simulazioni ricevono un numero più alto di bonus coins: gettoni con cui è possibile prendere le portate presso la sala mensa oppure le bibite, la birra ed altri prodotti simili presso i distributori automatici.
Il reportage presentatoci da Zelter è ricco di slogan incitanti a mutare la persona che dovrà unicamente votarsi alla causa. Questi irritantissimi tormentoni sono tutti in lingua inglese e la frequenza con cui vengono propinati agli allievi rimandano a ricordi di regimi storici che puntavano al subdolo controllo delle masse. L’intero “Schule der Arbeitslosen”, così in originale, è pervaso infatti da SCHOOL OF LIFE, A NEW LIFE, TEAMLEADER, CAPTAIN, WORK IS FREEDOM, ma anche FREEDOM IS WORK, CARELESS TALK COSTS JOBS.
Nella scuola sono ben visti valori come macismo e l’abilità di circuire. Esistono infatti due “suite” in cui è possibile passare la notte a scopo di rapporto sessuale. Ad esempio, secondo l’istruttore Fest del Team Apollo sarebbe ancor meglio se un allievo riuscisse ad usufruire ogni sera delle suite a disposizione con una allieva differente. Nel pensiero vigente all’interno del complesso scolastico, il risultare vincente nell’ambito sociale non può che costituire uno stimolo per le future vittorie in ambito lavorativo. C’è però chi non riesce ad allinearsi con la disciplina imposta da SPHERICON. Gli allievi Karla e Roland tentano infatti di aggirare il sistema con il risultato che il rinomato ed apprezzato psicologo presente nella scuola (dall’insindacabile giudizio) è costretto a richiamare entrambi per delle audizioni private che a volte portano ufficialmente alla necessità di prendere dei provvedimenti necessari…
“La scuola dei disoccupati” è una piccola opera, molto ben concepita, dallo sguardo estremamente lucido e forse “futuribile” sulla strada che hanno intrapreso i protagonisti dei nostri tempi. La mancanza di lavoro può dare alla testa e può portare alla depressione, ma l’intramontabile esigenza dei governanti di trarre profitto da qualunque situazione, anche dalle più drammatiche, è una tendenza o meglio un principio che non sembra aver fine e che tende a prevaricare sulle masse soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà. La maniera in cui Zelter sviluppa il suo sguardo impietoso sul sistema è un sapiente mix fra le storie dall’atmosfera militaresca, gli echi nascosti dei reggimi totalitari e la finta funzionalità e validità degli staff istituzionali presenti in alcune serie televisive sul tema del fine raggiro psicologico e politico; citiamo su tutte “il Prigioniero” del 1967.
Il titolo proposto dalla ISBN nell’accattivante collana dei Vinili è un ottimo prodotto letterario abilmente scovato nel mercato teutonico. “Schule der Arbeitslosen” meriterebbe certamente maggiori consensi e in tal senso ci preme sottolineare che non ci troviamo assolutamente di fronte ad un autore sottovalutato, ma al cospetto di un titolo che probabilmente a primo acchito non risulta accettabile in questi lunghi e attuali periodi di disoccupazione, ristrettezze economiche e frustrazioni psicologiche piuttosto diffuse. A questo riguardo è doveroso sottolineare, per coloro che si trovino a non avere molte informazioni in merito, che “La scuola dei disoccupati” non è un titolo che tradisce una commiserazione per chi non ha lavoro o che tende a far innervosire coloro che si trovano nelle medesime difficoltà. Al contrario, lo scritto ATTUALISSIMO del fine autore tedesco ci invita a non considerare i gestori del sistema economico come i vincenti esistenziali, ancora ci aiuta a vedere le condizioni lavorative al di là di ciò che notiamo ad un primo ed ormai stanco sguardo e ci esorta così a perseguire la ricerca di un lavoro alla maniera non standardizzata, ma più personale ed intima. Magari i risultati non sono garantiti, ma ciò che è assicurato è che nell’agire in linea con sé stessi ed evitando le umiliazioni gratuite il ritorno in termini psicologici sarà impagabile, a prescindere da qualunque risultato.
Joachim Zelter, “La scuola dei disoccupati”, Milano, “ISBN Edizioni”, 2012
Titolo originale: “Schule der Arbeitslosen”
Per ulteriori info sul titolo: http://www.isbnedizioni.it/libro/233
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