di Marco Maresca
Quel giovane se ne stava seduto, in silenzio, sognante, a barattare scampoli delle sue giornate malinconiche e impolverate con l’ambizione di una vita compiuta. Veniva spesso a sedersi su quel muretto di pietra viva, e lì restava per un tempo che neppure lui avrebbe saputo quantificare, privato di ogni altra volontà che non riguardasse la voglia di dare un senso, e quindi abbandonarsi, a ciò che vedeva. C’erano piante, alberi, un cielo avvolgente e vasto, e un paesaggio mozzato da una vecchia siepe appena curata. C’era il vento, a volte, un vento di collina che, leggero come una sposa, portava uno strascico di brezza di mare.
Lottava continuamente, quel giovane, contro i rumori dei ricordi falsi e bugiardi che suscitavano in lui continui scarti tra le verità che aveva conquistato. E a nulla servivano, durante quelle lotte, le pagine accatastate nella memoria, le notti e i giorni sudati a tavolino, o l’innata tenacia ereditata dalla madre. Solo ciò che vedeva poteva salvarlo dal brusio caotico della ricerca della verità.
E allora guardava, quel giovane. Lo faceva da sempre, o almeno da quando poteva ricordarlo. E proprio quella parola – sempre – gli dava un senso di sicurezza che non poteva più trascurare. Allora il paesaggio diventava altro da un nugolo di colori ben ordinati, sembrava una scusa di bambino inventata per poter desiderare il piacere dell’autonomia.
Posso ben immaginare come quel giovane affogasse nell’inconsistente spazio tra passato e presente, quello stesso spazio che cercava con decisione di riempire dell’immortalità, non dell’uomo, s’intende, ma del tempo. Posso perfino ascoltare le urla mute che si raccoglievano ai bordi di quella lotta impari e lentamente sciamavano verso il fulcro di un mistero inattaccabile.
Per poi raccogliersi in una manciata di versi.
Che avrebbero solcato, come un dispetto, le stagioni a venire.
Quel giovane non c’è più. E’ diventato parte dei colori che, oggi, cerco di guardare con gli occhi più puliti che ho. Sono venuto a Recanati per provare a respirare un po’ d’infinito, spinto dalla strenua certezza che la poesia non può sgorgare dal nulla né fondarsi sulla menzogna. Ho trovato un vuoto che nessun silenzio, fosse pure abitato da Dio, può riempire. Me ne torno felice, però. Non mi sento più solo, in questo mondo di uomini soli. E da domani, l’infinito, sarà un mistero un po’ meno impolverato.
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