Un’altra vita

 

di Marco Maresca

( immagine da http://www.giornalettismo.com/archives/175829/e-giusto-condannare-i-clienti-della-prostitute/ )Voci, da lontano, urla, dentro di me, e silenzi, vasti come il paesaggio di questa notte e di ogni notte, vagiti adulti, su di me, menzogna, tutt’intorno, e ancora silenzi, che io solo so custodire in questa notte e in ogni notte.

Se solo potessi capire, figlia mia, sapresti che la verità è alla portata di tutti perché è dentro ognuno di noi, ma oggi non puoi ancora capire, e anche quando tenti di abbordare un ragionamento non raccogli che infedeltà e non puoi che guardarmi con gli occhi di sempre e chiedermi di sperare con te, per portare con te una speranza che non possa perdersi in quell’orizzonte lontano, orizzonte di cieli senza sole, di strade come rami secchi, con tua madre che non può più vedere, e una ragazza sola che urla parole ad una madre che non può più ascoltare, mamma lontana, mamma diversa dal ricordo di entrambe, mamma che non è, che non sei, che non puoi vedermi, ora, in questa strada affollata di mercanti, tra urla, silenzi e vagiti adulti, e io a dirti che se solo potessi vedere, se solo potessi ascoltare, madre mia, capiresti che è la menzogna a essere alla portata di tutti perché è ovunque.

Nella malinconia di una camera essenziale, un milione di mani sporche pretendono l’amore, in questa notte come in ogni notte, smaniando amando e odiando centimetri di purezza, sporcando ogni ricordo di grigio, del grigio di questa stanza, malinconica come ogni notte, in cui odori e tremori si attorcigliano, disconoscendosi, annullandosi, vanificandosi, per culminare in un assenso vuoto, urlo desolato in una notte desolante, finché, come sempre, è il silenzio imbarazzato della vittoria a far deporre le armi della miseria, a rigenerare i ricordi, le idee, a far desiderare salvezza o morte, a far rimpiangere l’amore di una donna, moglie o madre poco importa, a trascinare subito lontano per non ascoltare quelle voci, voci che però, come ogni notte, sconfiggono, chiamano bambini e chiedono di smetterla di giocare, perché è ora di andare a dormire e nel tepore di una camera colorata d’azzurro, un letto che si dipana, tra lenzuola spiegate e chiaroscuri non più gentili, e una bambina serena, che ride con gli occhi assonnati, che guarda la madre che ride con gli occhi di madre, una mamma, ecco, una mamma che ama la sua piccola, che mi ama, in una camera colorata, e io che non cedo, io che ti amo, mamma.

Poi l’alba, alba tumida di stanchezza e sudore, alba di femmina e di maschio dimenticati, alba sterrata, oggi, dove nel sole nuovo e indolenzito, si può ancora sognare un’altra vita.

C’è una finestra, nei vicoli della mia vita, in cui all’alba si accende una luce che svela una donna che, delicatamente, si siede a un tavolo e inizia a scrivere, e lo fa per ore, lunghe ore, fino alla sera, quando in quella finestra il buio riporta tutto alla normalità della notte, come se nulla fosse stato prima né lo sarà dopo, fino alla nuova alba, e ci sono io, in quel vicolo privilegiato, a osservare quell’immobilità, io immobile, io che non riesco a capire ma che posso costruire il mondo dietro quelle mura da cui traspare solo una luce, un tavolo e una donna, io che invento, che viaggio, che mi sposto furtiva tra quelle pareti misteriose e mi siedo, prima accanto alla donna, poi su di lei, poi dentro di lei, e scrivo, per lunghe ore, di quella giovane donna senza vita, della sua fuga sballata dalla miseria, del suo approdo in una nuova miseria, e della sua voglia di pace.

Dalla camera il mio unico amore mi chiama per un suo innato bisogno di me e io, sopraffatta come ogni sera dal mio innato bisogno di lui, mi affretto a riporre fogli e matite e corro, più veloce che posso, verso il suo profumato giaciglio e dopo il consueto immenso stupore per quell’angolo di verità, mi immergo nelle sue braccia, braccia forti che mi accolgono con tenerezza invincibile, e mi rivestono dell’unico amore possibile, amore innato, amore che in questo angolo di terra trasforma tutto in sogno reale, che trasfigura i corpi in anime senzienti, e mi fa dimenticare la giovane donna succinta che, ogni giorno, fin dall’alba, rimane per lunghe ore ad osservarmi, mentre scrivo di lei, della sua vita blasfema, della sua unica vita orribilmente gettata tra i vicoli in chiaroscuro di questa città impazzita, dove nessuno si preoccupa di quello che accade nei giorni di chi vive di notte, di tutte quelle donne senza l’attimo presente, donne come me, che vivono l’immenso abbandono di una madre che le ha vendute, di una madre che mi ha venduta a questo nugolo di strade rinsecchite come scheletri, consegnandomi in dote l’idea che un giorno, se fossi sopravvissuta, forse, avrei capito anch’io.

Ancora notte, ancora rassegnazione, ancora afrore di virile viltà, ancora notte su di me, sul mio corpo di negromante occulta in versione citante, ora eccitante ora morente, ancora corpi senza volto su di me, infiniti corpi dentro di me che si agitano gettandomi addosso bestemmie in infinite lingue sconosciute, parole che si diradano in urla inumane e nascoste e mi lasciano senza pensiero, ancora notte nel nulla di quelle mani sudice, di quei grembi senza pietà, di quelle bocche forsennate che mi gridano il loro sgomento, ancora notte nei miei occhi chiusi che riescono però a sognare una via, una brezza in grado di trapassare ogni muro, ogni confine, e magicamente riescono ad aprirsi nel sortilegio del suo sorriso, nel profumo del suo alito in movimento, e riescono a vedersi nei suoi occhi umidi di gioia, a confondersi in quel panorama tiepido, a perdersi nella luce di questa notte, notte di carezze, di tenerezza invincibile, di sguardi silenziosi, di piccole parole cantate a due voci, notte nella stanza affianco, infinitamente lontana da una finestra aperta affacciata sui vicoli deserti della notte.

Il giorno nascente porta via il rumore dei miei passi e cancella, come ogni giorno, il rumore della notte, lasciando nei vicoli ansimanti di nuovi colori soltanto il tenue ricordo di una giovane donna straniera, donna di poco conto, appena uno scampolo di desiderio, donna senza un passato né un futuro da ricordare, né una madre da desiderare.

 

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