di Fabio Migneco
Puoi parlarci della tua professione di medico e psichiatra e del come sei arrivato a scrivere romanzi?
Sono diventato Dottore in Medicina nel 1983 e ho iniziato a lavorare in un ospedale a Londra. E poi per alcuni anni, circa sei-sette, ho lavorato in una serie di differenti ambiti specialistici, chirurgia, pronto soccorso, medicina generale, pediatria, chirurgia cardio-plastica, tutti lavori di sei mesi l’uno più o meno. Poi per altri sei mesi sperimentai la psichiatria e la trovai molto interessante. Ed era a dirla tutta anche meno impegnativa della chirurgia, da un punto di vista delle ore di lavoro che mi venivano richieste, mi ritrovai ad avere più riposo infrasettimanale rispetto ai turni di chirurgia e le ore di lavoro in genere erano ridotte. Perciò mi ritrovai con più tempo libero e decisi di provare a concretizzare quella che è sempre stata una mia passione, la scrittura, le storie, la narrazione. Ma mi piaceva molto la psichiatria, l’ho fatto per diversi anni, specializzandomi in casi di droga e di abuso di sostanze stupefacenti. Iniziai a scrivere Bad City Blues nel 1989, mentre lavoravo a Londra in chirurgia, lo ripresi poi dopo il passaggio a psichiatria. Ma ho sempre scritto. Penso di avere iniziato intorno ai dieci anni, scrivevo storielle per lo più western, ispirate ai film di Leone o di Corbucci. Ma anche storie sulle guerre mondiali. Quindi in più di un senso scrivevo già prima di essere un medico.
Il tuo libro più noto è Il fine ultimo della Creazione, che è stato un successo internazionale a livello di critica. Raccontaci cosa l’ha ispirato…
Be’ sono sempre stato interessato e affascinato dai film carcerari soprattutto, non ricordo di aver letto molti libri del filone, tranne forse Il Conte di Montecristo, se vogliamo considerarlo tale. Stavo facendo delle ricerche per il mio lavoro di psichiatra, sulla sindrome da stress post-traumatico. Lessi un articolo su una rivista specializzata, l’American Journal of Psychiatry, che parlava delle rivolte carcerarie, particolarmente di quella in Nuovo Messico negli anni ’80 che fu una delle più violente della storia, con 42 persone uccise. Era raccontato dal punto di vista del medico che curò alcuni degli ostaggi coinvolti, ne furono uccisi sei… e includeva una breve descrizione della condizione del carcere e di alcuni dei detenuti durante la rivolta. Immediatamente mi colpì come un possibile ambiente perfetto per creare una storia. Per via del fatto che la rivolta si svolge in un unico luogo chiuso e in un lasso di tempo generalmente breve. E il fatto che uno spazio piccolo potesse diventare il posto più pericoloso del mondo in cui poter stare in quel dato momento mi ispirava come scrittore, per ambientarci un romanzo. Era interessante anche per poter lavorare sul capire chi, in un contesto così estremo, potesse essere l’eroe – o gli eroi – della storia che sarei andato a raccontare.
Non credi che abbia influenzato il filone carcerario a venire? Penso a film come Con Air, dove come nel tuo libro l’inferno si scatena proprio il giorno in cui il protagonista dev’essere scarcerato, o a serie tv come Oz e Prison Break…
E’ nella natura di Hollywood. Con Air è un qualcosa che nasce da una costola del mio romanzo, lo spunto è direttamente copiato pari pari. Lo so per certo perché all’epoca ho avuto alcuni incontri e trattative con Nicolas Cage, così come so che Don Simpson e Jerry Bruckheimer avrebbero voluto acquistare i diritti del romanzo, e in retrospettiva vorrei che l’avessero fatto, ma dovettero farsi da parte dall’asta perché qualcun altro del loro stesso studio, Alan Pakula, si era offerto di comprarli. Comunque sia erano ben a conoscenza de Il fine ultimo della Creazione, tanto che Cage mi disse persino che davano ai membri del cast copie del mio romanzo per leggerlo come ricerca per il background dei loro personaggi. Diciamo che Con Air per certi versi è Il fine ultimo della Creazione su un aeroplano. Intendiamoci è un ottimo film d’intrattenimento, divertente, con un bel cast… dico solo che non mi ha aiutato a vendere copie in più! Bisogna dire che ci sono dettagli, strutture, elementi che, quando si scrivono storie in ambienti talmente caratterizzati, che finiscono per essere simili inevitabilmente, senza che si tratti per forza di copie o plagi. Le somiglianze sono già in quel mondo, in quella narrazione specifica. Però è anche vero che ci sono dei piccoli dettagli talmente specifici in serie come Oz o Prison Break che sono sicuro vengano da Il fine ultimo, ad esempio in Oz c’è un personaggio che è in galera per aver ucciso la famiglia con un martello, ma non un martello qualunque, fosse stato uno qualunque sarebbe stato diverso, ma si tratta dello stesso che indico io nel libro! Ci sono dettagli del genere che testimoniano l’influenza del mio romanzo. Ma sono cose che circolano alla fin fine, va benissimo, non mi lamento.
Vedremo mai un film tratto da quel romanzo? Parlaci delle tue esperienze ad Hollywood e dei film a cui hai lavorato?
La Warner opzionò i diritti per farlo dirigere da Alan Pakula, col quale per anni lavorai alla sceneggiatura, scrivendone molte versioni, eravamo quasi ossessionati dal volerlo fare nella maniera più giusta possibile, che alla fine fu un errore perdere tutto quel tempo. Pakula morì in un tragico incidente d’auto verso la fine del processo, e il progetto della Warner morì con lui. Funziona così ad Hollywood a meno che non stiano adattando un bestseller dalla gran risonanza, cosa che certo non fu Il fine ultimo, di certo non in America. L’opzione scadde e da allora non se ne è fatto più niente, ogni tanto qualcuno si dice interessato a voler fare un film da quel libro ma finora non si va oltre l’intenzione. Però non si sa mai…
Per quanto riguarda la mia esperienza hollywoodiana è stata sicuramente positiva sul piano umano e personale, mi ha aiutato come scrittore nel con concepire immagini sempre più cinematiche ed è stato divertente per un po’ fare il produttore, stare sui set ecc. Posso dirti però che il mondo del cinema è fatto di infiniti compromessi e che ogni volta il risultato finale non è mai come te l’aspettavi, anche nella migliore delle ipotesi. Dell’adattamento di Bad City Blues sono piuttosto contento, non è eccellente ma nemmeno pessimo, ha dei buoni protagonisti, alcune cose le avrei fatte diversamente ma tant’è… Sin peccato mortale invece non fu quella pietra miliare hard boiled e ultra violenta che speravamo sarebbe stata, ma gode dell’interpretazione di due grandi attori come Gary Oldman e Ving Rhames. Inoltre nel cast c’era Kerry Washington, allora giovanissima e sconosciuta, oggi lanciata al punto da prendere parte anche al nuovo film di Tarantino. Ecco, il lavoro con gli attori e alcune scoperte sono il ricordo più bello della mia esperienza cinematografica. Come l’aver scelto in tempi non sospetti Rachel Weisz per Lo Straniero che venne dal Mare, scritto da me come adattamento da Joseph Conrad, film nel quale c’erano anche Ian McKellen, Joss Ackland, Kathy Bates.
Religion è un romanzo epico a tutti gli effetti. Cosa ti ha spinto ha raccontare l’Assedio di Malta?
Ho scelto di raccontare la storia di Religion perché ha dentro di sé moltissimi elementi che da sempre mi affascinano e perché mi permetteva di giocare con molti archetipi del thriller e del noir inseriti in un contesto diverso come quello del romanzo a sfondo storico: c’è la caccia all’uomo, le battaglie, gli intrighi, i tradimenti, le donne misteriose, parlo di vita, morte, amore, vendetta e tutti i grandi temi che ci toccano da sempre. Mi ci sono voluti anni per scriverlo, ma il risultato mi lascia davvero soddisfatto.
Quale futuro dobbiamo aspettarci per Matthias Tannhauser dopo questo primo libro?
Il secondo libro della trilogia di Tannhauser, Twelve Children of Paris, è ormai ultimato e verrà pubblicato in Inghilterra il prossimo maggio. Prende l’intensità, la violenza, l’azione del primo libro e li porta a un nuovo livello, una nuova dimensione. E’ ambientato durante il massacro che avvenne a Parigi nel 1572 quando la milizia cattolica volle annientare l’intera popolazione protestante della città, gli Ugonotti, Tannhauser si troverà nel mezzo del massacro e realizzerà che poiché è intrappolato all’inferno l’uomo che dovrà essere è il Diavolo, così dovrà comportarsi in maniera estrema. Mentre prova a farsi largo nel massacro per trovare la sua sposa, Carla, che si è persa, si troverà a doversi prendere cura di un gruppo di ragazzini in pericolo. E’ una storia davvero intensa, che si svolge tutta nell’arco di 36 ore. Penso sia davvero buona…
Hai contribuito a scrivere Il discorso per il Nuovo Millennio, è una cosa curiosa, come ci sei arrivato?
Due anni prima del capodanno del 1999 iniziarono a organizzare la grande celebrazione che si sarebbe tenuta al Lincoln Memorial di Washington D.C. e all’epoca Steven Spielberg accettò di realizzare un piccolo film di una ventina di minuti che sarebbe stato mostrato a venti minuti esatti dalla mezzanotte per salutare il nuovo millennio, così per due anni in molti tentarono di avere un’idea per questo micro film, poi nell’ottobre del 1999 erano ancora senza un’idea, così si rivolsero a diverse persone, tra cui il sottoscritto. Sottoposi la mia idea che piacque e così finii a scrivere questa cosa per Spielberg, che alla fine era una sorta di documentario, con le musiche di John Williams. Era strutturato in una serie di narrazioni, il primo narratore sarebbe stato Bill Clinton, il film ha questa serie di voci fuori campo che, durante la celebrazione del capodanno, furono fatte dal vivo. Oltre a quello poi Clinton fece il suo discorso ma ovviamente aveva già chi glielo scriveva, però sì alla fine quella notte Clinton lesse alcune cose che io avevo scritto.
La tua pagina wikipedia dice che sei un grande fan del poker, è vero? Scriveresti mai un libro su quel mondo?
E’ una bella domanda, sì è vero che mi piace giocare a poker e che ne sono tutto sommato un fan, non gioco da un po’ però, perché per giocare a buoni livelli devi trovare qualcuno bravo con cui farlo che ti stimoli ad arrivare al suo livello. E’ un grande gioco ma ad essere sincero non so se scriverei un libro intero a riguardo, credo più che userei il poker in una scena di un romanzo, magari in un capitolo. Più che altro per il fatto che il buon poker è veramente interessante solo se sai giocare a poker. Nei film, per esempio quelli di James Bond ma anche altri, le mani che mostrano sono sempre fatte di giocate enormi, del tipo io ho quattro re e tu quattro regine ecc. questo per renderlo comprensibile e più accessibile alla maggioranza delle persone che non s’intendono di poker, che non sono interessate a questo gioco, ma per me l’aspetto più interessante del poker sta nelle piccole, piccolissime differenze, ad esempio la maggior parte delle volte che hai una mano fantastica, quattro assi, non ci ricavi nessun soldo, specialmente nel texas hold’em… C’era un famoso giocatore texano di poker chiamato Amarillo Slim che diceva spesso che aveva fatto più soldi nella sua carriera con un paio di due di quanti non ne avesse fatti con un paio di assi. Quello che cerco di dire è che il poker diventa interessante solo quando ne capisci e ne cogli le sfumature, i piccoli dettagli e in un romanzo questo è più difficile da rendere in modo da portare avanti la storia. Ma è un grande gioco, questo sì…
Il tuo amore per gli animali, specialmente cani, era già evidente in Re Macchiati di Sangue ed è alla base di Doglands, ancora inedito da noi. Dicci qualcosa di più…
Il cane che avevo anni fa, sul quale è basato quello di Re Macchiati di Sangue, purtroppo è morto da tanto, Doglands invece è ispirato dall’ultimo cane che ho avuto, chiamato Furgul, mi piacciono molto i cani, ce n’è uno anche in Religion, sì, mi piacciono molto nella vita e mi piace scrivere di loro. Li vedi dappertutto ce ne sono tanti in giro, quasi quante sono le persone del pianeta, credo ci siano quattro persone ogni cane, ok, ma sono comunque tanti cani! Fanno parte della vita dell’uomo da sempre e c’è qualcosa di affascinante e al tempo stesso misterioso, ancestrale in loro. Doglands riguarda uno di loro in particolare, è tutto scritto dal suo punto di vista ed è una bella avventura, so che verrà pubblicata qui in Italia prossimamente.
E per quanto riguarda la storia breve che hai pubblicato in Francia, La Cavale de Billy Micklehurst?
Quella storia venne pubblicata diversi anni fa in una rivista in Inghilterra, lo scorso anno il mio editore francese mi ha chiesto se avevo qualche storia breve da sottoporgli perché era interessato al mio lavoro, così gli ho inviato quella, che è una sorta di ricordo su un senzatetto con il quale ero amico. L’editore l’ha trovata interessante e l’ha pubblicata per il mercato francese in una piccola versione bilingue. Ho scritto solo due storie brevi finora, ma non riesco più a trovare la seconda, era da qualche parte in un mio computer, poi fra traslochi e cambi di pc è scomparsa.
Sei anche tu come Lansdale un appassionato praticante di arti marziali, cosa ti ha spinto verso quel tipo di disciplina?
(ride) Diciamo subito che la mia conoscenza delle arti marziali non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella di Joe, lui è un vero asso! Ha creato un suo stile, le pratica da più anni di me, non c’è storia… Per quanto riguarda me posso dirti che è una cosa che mi ha sempre appassionato, ma che non ho mai padroneggiato davvero. Però aiuta molto a svuotare la mente e riempirla di altri significati, equilibrare il proprio corpo e così via. Pratico lo shotokan che è uno stile di karate che mescola varie arti marziali, per un po’ sono stato fuori allenamento, ultimamente ho ripreso…
Quindi sei tu il guerriero shotokan, come Klein ne Il fine ultimo della Creazione?
(sorride) Sì bé, il classico misto di autobiografia e proiezione fantastica!
Credi che tra i tuoi futuri lavori ci sarà spazio per incursioni in altri territori come il fumetto o un ritorno al cinema?
Chissà. Devo riconoscere che non mi dispiacerebbe scrivere una grapic-novel se qualcuno me lo chiedesse. Di sceneggiature in passato ne ho scritte e riscritte molte, è un processo lungo e a volte doloroso e non so se tornerei a lavorarci, ma amo talmente il cinema che credo che al momento giusto mi rimangerei le mie stesse parole. Anche i fumetti mi hanno sempre influenzato quand’ero più giovane, come la letteratura e se qualcuno mi chiedesse di realizzarne uno, perché no? Penso sarebbe un gran bell’esercizio.
Per ulteriori info su l’auotore: http://www.timwillocks.com/
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