di Fabio Migneco
Parliamoci chiaro: il film è sciatto, fatto male, scritto in maniera zoppicante e girato allo stesso modo. Spreca per la seconda volta dopo la pellicola precedente un potenziale incendiario che avrebbe potuto dar vita a un film da leggenda e invece si accontenta di far sfilare i grandi nomi del cast. Simon West soppianta Stallone alla regia e non è propriamente un bene perché si limita a tenere le fila senza mai esaltare nessuno dei partecipanti al gioco (e sì che ne avrebbe ben donde), anzi, arriva persino a riprendere alla meno peggio diversi dei combattimenti che mette in scena, sputando sulle doti atletiche e marziali di un cast stellare anche e soprattutto in tal senso. I personaggi sono abbozzati e alcuni di essi appaiono e scompaiono senza un reale peso specifico o una motivazione; l’ottanta per cento di ciò che succede segue il tono complessivo adottato dall’operazione, che è in sintesi quello di buttarla in caciara come si suol dire.
Il reale valore della pellicola è da ricercare altrove, nel grande omaggio (anche più che nel primo film) che Stallone – è comunque sempre lui l’eminenza grigia dietro il tutto, unico vero autore a tutto tondo tra gli action hero cinematografici – ha voluto fare al tipo di cinema che ha sempre realizzato, ai suoi colleghi e amici e al suo pubblico di fedelissimi. Questo è un film che corona molti sogni di chi è stato ragazzino negli anni ’80 ed è cresciuto a suon di Rocky, Rambo, Cobra, Die Hard, Terminator, Kickboxer e mille altri. Primo fra tutti quello di vedere insieme – e in azione, non solo a chiacchierare come nella scena, pur speciale del film precedente – Stallone, Schwarzenegger e Willis, vera e propria santissima trinità del cinema muscolare. Visto in quest’ottica il film appassiona e diverte, fila via liscio come l’olio e regala svariate perle da mandare a memoria e da rivedere in blu-ray all’infinito. E’ praticamente un miracolo: primo in classifica al box office Usa e di rimando in quelli mondiali per due settimane di fila, pubblicità praticamente ovunque, un vero e proprio evento, soprattutto se si considera che fino a sei anni fa Stallone era praticamente fuori dai giochi. Caparbiamente come uno dei suoi personaggi ha dimostrato a sé stesso e al mondo di non essere affatto finito e avere ancora molto da dire e da dare. Ed eccolo qui al secondo capitolo di quella che, se ben amministrata, potrebbe diventare una saga lunga quanto quelle dei suoi personaggi più famosi, su cui è tornato negli anni recenti per due ultimi capitoli di tutto rispetto e di puro, vero Cinema.
Questo è il senso e l’importanza di un film come I Mercenari 2: il suo essere un manifesto, nonché l’antipasto sfizioso alle portate che verranno (date un’occhiata in rete: tra la fine del 2012 e lungo tutto il 2013 arriveranno nuovi action vecchio stile: il ritorno da protagonista del Governator Schwarzie, sceriffo indomito in The Last Stand, Stallone unirà le forze col mitico regista Walter Hill per Bullet to the Head, Sly e Arnie saranno insieme in coppia per la prima volta in The Tomb e poi ancora un nuovo capitolo degli Universal Soldiers per Van Damme, il quinto Die Hard per Bruce Willis, una sfilza di film per Statham e chi più ne ha più ne metta), in quello che è un ritorno alla vecchia scuola che non può non fare piacere. Bisogna goderseli finché ce li abbiamo questi ragazzacci, questi vecchietti all’anagrafe che però non hanno perso un grammo del loro carisma di sempre e della loro capacità di interpretare i loro duri dal cuore grande e la battuta facile che a noi tanto piacciono. Perché verrà il giorno in cui non lavoreranno più per davvero, o ci lasceranno, e saranno giorni tristi, poiché – basta dare un’occhiata in giro – non se ne vedono poi molti di tipi del genere ai nostri giorni, un ricambio generazionale non c’è, eccezion fatta per quei due o tre nomi (Statham appunto, Li, ma è un altro discorso, più ampio, quello del cinema di arti marziali, Adkins e pochi altri) giustamente inglobati nei due capitoli della saga. Questo tipo di cinema finirà con loro.
Tornando a questa parte seconda, le cose migliori sono i primi venti minuti, davvero col botto in tutti i sensi, alcune scelte della colonna sonora, ovviamente retrò, il rapporto da Strana Coppia tra i personaggi di Stallone e Statham, vero e proprio fulcro di entrambe le pellicole, le parti ampliate di Willis e Schwarzenegger (ed è meraviglioso ritrovarlo sul grande schermo, lì dove appartiene), le strizzate d’occhio al pubblico e le varie citazioni – tranne quelle più ovvie – il ruolo da cattivo di un Van Damme che ci mette l’anima e si gioca il tutto per tutto per rientrare in serie A, Dolph Lundgren sapientemente autoironico al cui personaggio forniscono un background da ingegnere che è lo stesso che ha l’attore nella vita. E, ovviamente l’azione, fatta come andrebbe sempre fatta, ovvero come una volta, perché come ribadisce Statham rispolverando il tirapugni, “non si batte il classico”. Gli altri della squadra fanno il loro sporco egregio lavoro pur con il poco a disposizione, l’innesto femminile di Yu Nan è indolore e anzi dà vita a qualche bella gag e a un diverso spessore. Soprattutto non manca quel tocco di umanità che Stallone conferisce da sempre ad ogni suo script e che fa sì che tutto il casino e la missione e la vendetta abbiano alle spalle dei sentimenti veri. Ciliegina finale tutto il secondo tempo che culmina nel duello tra titani Stallone – Van Damme.
Avrebbe potuto essere leggendario, è invece solo un divertente e divertito (è bello come siano proprio loro i primi a non prendersi mai sul serio) omaggio che a tratti sembra quasi parodia (tutta la partecipazione speciale di Chuck Norris, che gioca con la rinnovata popolarità datagli dal web negli ultimi anni, è esemplare in tal senso). Non resta che sperare bene per il terzo capitolo, per il quale magari salterà fuori una storia degna di questo nome, che conferisca al film uno spessore e una valenza che non siano solamente extra-diegetici. Già si parla di possibili nuovi reclutamenti illustri (si vocifera addirittura Eastwood, ma chi manca davvero all’appello finora sono Steven Seagal, Wesley Snipes e pochissimi altri) e la formula, almeno sulla carta, ancora regge. Per il momento godiamoci la sarabanda scombinata del secondo capitolo che, pur con i suoi mille difetti, sa farsi ben volere.
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