MUDHONEY. Circolo degli Artisti. 22.5.2012
di Massimiliano Franchi
Quando parlo di band leggendarie sono portato a farlo sempre con una reverenza un po’ adulatoria, ma non ci posso far nulla e penso sia più che giusto, visto che in questo caso parlo dei Mudhoney e del loro concerto presso il Circolo degli Artisti di Roma la sera del 22 maggio.
La band di Mark Arm e Steve Turner non si è mai imposta in modo universale nel panorama “grunge” anni ’90, nonostante abbia preceduto i vari noti Pearl Jam, Alice in Chains, Soundgarden e Nirvana, concittadini di Seattle in quel periodo magico e prolifico musicalmente. E anche per questo non ha mai ceduto a compromessi, non ha mai ammorbidito il sound, che dopo 24 anni di carriera rimane ancora grezzo e violento come agli esordi.
Sul palco ingranano subito la quarta con Poisoned Water e Into the drink e già si capisce che sarà una serata molto ma molto calda. Le distorsioni fuzz saturano l’ambiente da lasciarci i timpani, mentre la sezione ritmica (Guy Maddison al basso e Dan Peters alla batteria) trascina la folla in un pogo immediato e selvaggio. La scaletta è una sorta di resoconto di tutta la carriera della band, attingendo sia dal repertorio storico con brani come Slipping Away, This Gift, When Tomorrow Hits, Let It Slide, Sweet Young Thing Ain’t Sweet No More, Good Enough, sia dai lavori più recenti con I’m Now, Lucky Ones, Tales of Terror.
Quando Mark Arm lascia la chitarra per dedicarsi solo alla voce si muove come un serpente ubriaco, ricordando l’altra leggenda musicale Iggy Pop, e Steve Turner da solo regge il suono chitarristico con maestria ed esperienza.
Il pubblico va in totale delirio sulle hit In ‘n’ out of Grace e Touch Me I’m Sick e la band decide di regalare Suck You Dry e Hate the Police durante il bis.
A 50 anni o quasi, i quattro musicisti sembrano ancora ragazzini, divertiti dalla gente che li acclama con cori da stadio, li incita ad alzare ancora di più i volumi e richiede canzoni a ripetizione (ironicamente rifiutate dalla band con una risata).
Niente pause, non c’è mai tempo per rifiatare tra un pezzo e un altro, rendendo la loro esibizione di un’ora e mezza un dolce, macinante e stupefacente frastuono, che conferma tutt’oggi la gloria di quel genere etichettato come “sudicio e trasandato” dalla stampa americana, di cui i Mudhoney hanno il merito di essere se non i primi, comunque tra i primissimi pionieri.
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