di Fabio Migneco
Sin dai tempi dell’esordio con Maledetti vi amerò, il cinema di Marco Tullio Giordana è stato un cinema di grande senso civico, volto a scuotere coscienze addormentate e a porre interrogativi più o meno scomodi che spingessero lo spettatore a riflettere. Dopo un paio di prove più opache e irrisolte, con questo film Giordana torna alla grandezza e all’impatto de I cento passi (probabilmente la sua opera migliore, ancor più del fortunato La Meglio Gioventù). E lo fa col consueto rigore quasi documentaristico abbinato però a un grande senso del cinema-cinema vecchio stampo. Tanto che le due ore e passa di durata non pesano affatto e anzi sono più che necessarie per sviluppare personaggi e trama di una di quelle vicende che ha segnato gli ultimi quarant’anni di questo paese, una delle tante – troppe – rimaste irrisolte e lasciate a invecchiare e a far perdere le proprie tracce. Se l’intento è più che lodevole, visto che né la scuola né le istituzioni né le famiglie si occupano più di queste cose (ammesso che lo abbiano mai fatto), c’è da dire che Giordana non sale in cattedra, non fa il saccente, non si schiera. Espone i fatti, in una delle versioni più plausibili, evinta dagli atti e dalle ricostruzioni, nonché da un controverso libro-inchiesta e dirige i suoi attori con grande polso e senso dell’insieme, tanto che il cast funziona sia a livello corale che nei singoli assoli degli ottimi Mastandrea e Favino, capaci di due prove intense e misurate nelle parti chiave di Calabresi e Pinelli. Ma arriva anche il Moro di Fabrizio Gifuni, quasi un Gian Maria Volontè moderno, e ogni piccola parte ha il suo giusto attore (l’unica nota stonata è Laura Chiatti che non si capisce cosa ci stia a fare). Un film necessario che non merita le polemiche che hanno fatto seguito all’uscita. Speriamo che serva a stimolare discussioni più costruttive, a far documentare meglio chi di questa vicenda sapeva ben poco – a scuola non ci arriva mai nessuno a studiare la storia recente, compreso chi vi scrive – a ritrovare una coscienza sociale e civile ormai addormentata, quando non persa del tutto.
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