L’ARRIVO DI WANG (Italia 2011 – Manetti Bros.)

di Fabio Migneco

 

(immagine da http://www.filmperpochi.it/wp-content/uploads/2012/03/l_arrivo_di_wang_locandina.jpg)Ancora una volta i Manetti Bros. si fanno alfieri dell’italico cinema di genere, rozzo e non accomodante, mai furbo né studiato a tavolino. Non sono gli unici, ma sono sicuramente tra i pochissimi che lo fanno, memori del grande cinema che si riusciva a fare da noi decenni fa, quando ancora c’era un’industria cinematografica degna di questo nome. Di nuovo d’esempio per tutti dopo Piano 17 (e reduci dai fasti tv di Coliandro), i Manetti non stanno lì a piangersi addosso o ad aspettare che dal cielo arrivino finanziamenti degni di Hollywood, no. Loro si rimboccano le maniche e scendono nella trincea del low-budget, pronti a tutto. La scommessa era quella di un film di fantascienza fatto con poco e di poco, almeno all’apparenza. Contaminato con influenze disparate, come ad esempio quella dell’amato serial 24 e contrappuntato da un citazionismo qui meno esibito che in passato, più integrato col loro stile (che sa essere nervoso e fluido, guardare al videoclip e al cinema alla Tony Scott come anche al cinema più classico, che quasi non ti aspetti). Senza svelare la trama, un plauso va agli effetti speciali, notevoli per i costi contenuti del film, con una resa della creatura molto più efficace di quello che sembrava dal trailer e dalle prime immagini.

Bravissima la Cuttica, attrice rivelazione del film e grande Fantastichini (cultore di fantascienza tanto da chiamare Klaatu la sua casa di produzione) nel tratteggiare il burocrate dei Servizi Segreti incapace di relazionarsi sul serio con chi ha davanti (ma che, forse, non ha tutti i torti…), tutto voce grossa e scatti d’ira. C’è qualche buco di sceneggiatura, qualche faciloneria e si percepisce comunque che è una piccola produzione nostrana. Ma la verve dei fratelli romani la rendono comunque da competizione (e infatti ha sorpreso diversi festival, da Venezia in poi), capaci come sono di tenere ben alta la tensione, mantenere sempre il giusto ritmo e osare, senza paura di essere politicamente scorretti, come nel bel finale, ironico e beffardo. Lunga vita al cinema di genere, capace come sempre di guardare con occhi altri la realtà e raccontarla, secondo i suoi codici e lunga vita ai Manetti, che hanno il merito di divertire senza ricorrere alle solite commediole fotocopia che però escono in 300 e passa sale e hanno tutta la pubblicità di questo mondo mentre il loro film è uscito in una sola sala a Roma (più una a Fiumicino). Con la solita, inevitabile e scandalosa tenuta di una settimana e via. Se lo volete vedere, il Filmstudio lo ha messo in cartellone, in attesa del loro prossimo L’ombra dell’orco, un horror, annunciato per settembre. Sosteniamoli nella loro tenace battaglia. Loro e tutti quelli che aspirano a un cinema diverso e meno omologato.

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