di Francesco Bordi
Mica facile trovare una raccolta di racconti che risulti in grado di coinvolgere i lettori tanto quanto un romanzo.
Mica facile imbattersi in storie brevi che siano tutte quante del medesimo alto livello sia letterario che stilistico fra di loro.
Mica facile accettare il fatto che la classica sensazione del rammarico per un bella storia ormai terminata di leggere possa addirittura ripetersi per dodici volte, ossia il numero dei brevi scritti in cui ci si può imbattere in una certa raccolta cinese in libreria.
“Mica facile trovare un ammazzatigri” è l’azzeccatissimo titolo di una serie di storie brevi del valido autore cinese Ha Jin pubblicata da Neri Pozza Editore. Un riferimento nominale di questo tipo non può che incuriosire il pubblico che si trova catturato da un’espressione colloquiale che genera una serie di interrogativi come ad esempio perché esiste una figura come l’uccisore delle tigri e per quale ragione ne sia tanto difficile il reperimento.
Scopriamo così che il primo racconto, designato a regalare il titolo della copertina italiana all’intera raccolta, si apre con la trasposizione cinematografica di un’antichissima storia cinese in cui il mitico eroe Wu Song riusciva ad annientare una tigre a mani nude assestando potenti pugni sulla testa del grosso felino. La necessità di riversare su pellicola questo tipo di storie derivava anche dal fatto che in una Cina temporalmente non troppo lontana dalla “Rivoluzione Culturale” personaggi eroici come l’ammazzatigri potessero essere presentati come modelli di comportamento per le masse rivoluzionarie; quadri ufficiali come il governatore della provincia premevano non poco in tal senso. I responsabili decidono pertanto che per la grande operazione debba essere necessariamente utilizzata una tigre vera con il risultato che tanto l’attore quanto la troupe cinematografica avranno non pochi drammi da affrontare, alcuni solamente esilaranti, altri invece tragicomici.
Questo delicato equilibrio tra necessità di vivere e lavorare da un lato e le aspettative del Partito dall’altro sono il leitmotiv dei dodici racconti che l’autore cinese ci offre in tutta la sua ironia.
“The Bridegroom. Stories”, nella versione originale, ci presenta situazioni e spaccati di vita appartenenti ad una Cina ancora socialmente confusa in cui un onesto lavoratore a tavola con la sua neosposa deve stare attento nel rispondere al dispetto di un compagno poliziotto, che gli lancia volutamente del tè addosso, per non essere accusato di crimine reazionario. La colpa reale è aver osato replicato verbalmente ad un’autorità e per questo il protagonista dovrà fare ufficiale autocritica ed accettare di rieducarsi ma non senza essersi preso abilmente la sua piccola soddisfazione.
Può capitare anche che un uomo colto e prestante decida inaspettatamente di sposare una donna piuttosto lontana dall’avvenenza e dalla grazie, salvo poi scoprire che il matrimonio era solo per mantenere le apparenze perché l’oggetto del desiderio femminile del paese era in realtà affetto dalla “malattia” dell’omosessualità, un male inguaribile che non si riusciva a debellare nemmeno con il “bagno elettrico” per di più si trattava di «roba da classi alte, mica una cosa per gente ordinaria», insomma un male borghese.
E se una maestra d’asilo sfruttasse i bambini delle sue classi mascherando la raccolta delle sue verdure preferite nei campi in onorevole lavoro per la comunità della loro mensa? Quelle piantine non verranno mai cucinate per i bimbi, ma una piccola alunna della classe avrà necessità improvvisa di liberare i suoi liquidi nella ciotolona delle verdure punendo così di fatto l’inconsapevole insegnante per il suo vile interesse personale.
Negli ultimi tre racconti presenti nel titolo c’è anche spazio per un occidente sempre più presente all’interno della quotidianità cinese. “Una risposta ufficiale“, “La donna di New York” e “Quando il Pollo del Cowboy giunse in città” affrontano dichiaratamente l‘ambigua percezione del cittadino asiatico nei confronti della cultura, ma soprattutto dell’economia dei Paesi ad ovest del mondo, in particolare gli Stati Uniti. Invidia e deprecabilità, così come ammirazione e sdegno sono i sentimenti che si combattono all’interno degli abitanti di Muji, il piccolo centro teatro di tutte le storie che Ha Jin ci ha voluto narrare. Così leggiamo dell’imbarazzo dei nembri della delegazione culturale provinciale impotenti di fronte alle performances del tirchio ed egocentrico professor Fang nelle quattro città americane in cui venivano ospitati. Oppure riscontriamo la pubblica condanna della comunità cittadina verso la signora Chen Jinli colpebole di aver vissuto a New York per quattro anni cercando di migliorare la propria situazione economica. Il ritorno presso marito e figlia è ovviamente disastroso ed il ricorso della sua famiglia ad un’altra donna che non risultasse vittima della “cultura capitalista” sembra essere inevitabile. L’approccio più diretto al “far soldi” degli Americani è dichiarato nell’ultimo racconto in cui i dipendenti cinesi del primissimo fast food in città vengono dapprima invidiati dai propri concittadini per poi essere invece accusati di fungere da “servi dei diavoli stranieri“. La confusione che ne deriva e l’invidia dei tanti soldi in mano alla direzione porteranno lo staff a fare dei passi falsi. La rappresaglia successiva contro la direzione sarà infinita.
In tanti hanno scritto della celeberrima trasformazione della società cinese in epoca moderna, chiamando in causa le contraddizioni e le percezioni più variegate, ma c’è chi ha il merito di affrontarle con sarcasmo, ironia e sagacia. I racconti brevi del vincitore “PEN/Faulkner Award 2000” sono una fotografia di quella Cina attraverso i filtri della fiaba malinconica. Ha Jin non dà un giudizio, palese, circa la negativa influenza occidentale sui suoi compatrioti né addita il Partito come unico male assoluto della sua società. Vivendo negli U.S.A. dal 1985 lo scrittore godrebbe di una certa agevolata condizione per discorrere delle problematiche cinesi da cui si trova distante, tuttavia preferisce affidare alle battute dei suoi attori, così come alle conseguenze di gesti apparentemente innocui di quei suoi personaggi, il “semplice” compito di lente d’ingrandimento di quegli anni dei grandi cambiamenti.
Quella della cittadina di Muji è una Cina in cui le grandi marche già internazionali si mescolano ai pragmatici brevetti locali nella vita di tutti i giorni. È una società in cui l’anziano demonizza il presente spesso invidiandolo mentre il giovane esalta le nuove sfide della modernità terrorizzato dal poter sbagliarne fatalmente l”approccio.
In tutto questa dialettica l’elemento del riscatto sociale, mancato o raggiunto, è il vero fuoco narrativo della raccolta.
L’autore racconta una sorta di malinconica fiaba in cui s’intravede una “morale” che però lascia spazio a dubbi ed incertezze.
Sarà il lettore a comprendere qual è il senso di quegli “scatti cinesi”, ma non è detto che sia sempre scontato per ogni racconto perché….
Mica facile trovare la verità nelle fotografie di un popolo.
Ha Jin, “Mica facile trovare un ammazzatigri”, Vicenza. Neri Pozza Editore, 2001.
Titolo originale: “The Bridegroom. Stories”.
Foto di Francesco Bordi ©
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